L'AI e la fragilità: scolpire possibilità
- Idi di Marzo

- 4 nov
- Tempo di lettura: 3 min

Con martello e scalpello Michelangelo ha scolpito la Pietà; con l'intelligenza artificiale possiamo provare a scolpire nuove forme di umanità. La differenza non sta nello strumento, ma nello sguardo che sa vedere, nella mano che accompagna, nel cuore che educa.
L' AI può escludere o includere, sostituire o liberare. Nella scuola, soprattutto con gli alunni fragili, diventa ciò che scegliamo di farne: uno strumento tecnico o uno scalpello di umanità.
"Michelangelo, con martello e scalpello, ha fatto la Pietà; io, con gli stessi strumenti, faccio pietà."
Una battuta leggera, ma anche un piccolo trattato di filosofia della tecnica. Gli strumenti sono gli stessi; a cambiare è la mano, lo sguardo, la capacità di vedere dentro la materia la forma che attende di essere liberata.
Oggi, con l’intelligenza artificiale, siamo tutti un po’ davanti al nostro blocco di marmo. Abbiamo tra le mani strumenti straordinari: capaci di scrivere, parlare, comprendere, persino di apprendere. Ma lo sguardo che guida questi strumenti resta umano e solo da esso può nascere qualcosa che valga davvero.
Nel mondo della scuola, questo tema si fa concreto quando parliamo di alunni fragili, con disabilità, con bisogni educativi speciali.
Qui l’AI non è un vezzo tecnologico, ma una possibilità reale di emancipazione. Un alunno che non può leggere può ascoltare. Un alunno che non riesce a scrivere può dettare. Un ragazzo che si perde nei testi può ricevere parole semplificate, immagini, mappe.
Un software di intelligenza artificiale può adattare, mediare, accompagnare.
Eppure, anche qui, la differenza non la fa lo strumento. La fa l’intenzione educativa. La fa la capacità del docente di vedere la persona prima della funzione, il desiderio prima del limite.
L’AI può leggere ad alta voce, ma non sente la voce interiore dell’alunno. Può adattare un compito, ma non intuisce la paura di sbagliare. Può proporre una soluzione, ma non conosce la fatica di chi impara lentamente. Per questo l’AI, da sola, non basta: serve la presenza viva dell’adulto che accompagna, che interpreta, che dà senso.
Eppure, se quella mano c’è, se quell’intenzione è chiara, allora l’AI può davvero diventare uno scalpello di inclusione. Può togliere le barriere che imprigionano, non le identità che distinguono. Può dare voce a chi non riesce a farsi capire, spazio a chi fatica a trovare posto, dignità a chi per troppo tempo è stato visto solo attraverso la lente del bisogno.
L’intelligenza artificiale, in questo senso, non sostituisce l’intelligenza umana: la prolunga, la espande, la serve. Diventa parte di un’alleanza educativa nuova, in cui la tecnologia non cancella la relazione, ma la rende più accessibile, più personalizzata, più attenta ai ritmi di ciascuno.
Ma non tutti la vedono così.
C’è chi teme che l’AI introduca nella scuola un’idea fredda di inclusione: efficiente ma disincarnata, fatta di adattamenti automatici e risposte preconfezionate. Una scuola che “gestisce” la fragilità invece di accompagnarla.
E c’è chi, al contrario, intravede in questi strumenti un passo verso una scuola finalmente giusta: capace di offrire a ogni alunno le condizioni per esprimere ciò che è, senza standard rigidi e senza esclusioni mascherate da normalità.
Le due visioni sono entrambe legittime e, forse, in parte, entrambe vere.
Perché l’AI non porta con sé un destino: porta una scelta. La scelta di usarla come martello che frantuma o come scalpello che libera. La scelta di vedere nella tecnologia una scorciatoia o una possibilità di incontro. La scelta di un’educazione che delega o di un’educazione che scolpisce.
Gli strumenti evolvono, ma resta sempre la domanda antica: chi li usa, e per quale fine?
Michelangelo diceva che la scultura è già dentro il marmo: bisogna solo togliere il superfluo.
Forse l’educazione, anche con l’AI, è proprio questo: un lavoro paziente e amoroso per rivelare la bellezza che ogni persona custodisce, anche e soprattutto quando la fragilità ne nasconde i contorni.

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